Quello della Polizia di Stato può essere definito l’ultimo dei Sacrari costruito in Italia. Inaugurato il 16.7.2004 su progetto del maestro Mario Ceroli, ha mantenuto in un’intima continuità la sua riservata ubicazione posta all’interno della sede storica oggi occupata dalla Scuola Superiore di Polizia. Nato dalla totale rinnovazione del Sacrario concepito dal prof. Arcuri ed ufficializzato il 18 ottobre 1942 dal Capo della Polizia Carmine Senise, il nuovo complesso monumentale è espressione di quella cultura della pubblica sicurezza che, prendendo le mosse dal rinnovellamento voluto da Angelo Vicari, si è venuta consolidando progressivamente dopo la riforma del 1981.
Autentico Tempio della memoria, affidata al richiamo di semplici componenti simboliche ed allo sfumato cromatismo del bleu, compare vestito nelle sue pareti da uno, cento, mille ed ancora mille e più frammenti di percorsi esistenziali volutamente posti al di fuori dei confini del tempo per essere calati nella dimensione umana. Un messaggio intriso di modernità, capace di ridisegnare e storicizzare nella sua completezza il passato per affidare all’uomo del futuro ed alla sua memoria la più autentica tradizione sociale della Polizia. Un messaggio elementare ed essenziale che lo rende unico e diverso, perché assume “il Dovere e le sue Vittime” quale esclusivo parametro di riferimento del sacrificio umano spogliato da ogni connotato ideologico e religioso, così intensamente presente in tutti gli altri monumenti ai Caduti che lo hanno preceduto.
I Sacrari nella storia
I Sacrari, come complessi architettonici o monumentali, hanno quali antesignani, anche se con connotazioni ideologiche diverse, gli Ossari ottocenteschi sorti per onorare i caduti delle guerre risorgimentali 1°) ed i Cimiteri di Guerra.
Nei primi anni venti del novecento, in un periodo storico caratterizzato da forti conflitti politico-sociali, sorge la necessità di riorganizzare il numero altissimo di cimiteri di guerra , spesso costituiti ai margini dei campi di battaglia, per rispondere ad una duplice esigenza sociale. Una prima di carattere logistico, costituita dalla necessità di concentrare sempre nei teatri bellici della prima guerra mondiale, il numero elevatissimo di salme, circa 650.000 di cui oltre 60.000 rimaste ignote, disseminate in oltre 2876 cimiteri. Ed una seconda, di carattere etico, legata alla necessità di elaborare il lutto per un numero così alto di caduti da commemorare con nuovi culti e liturgie che tenessero conto di come il conflitto fosse stato un’esperienza di massa. Un’esperienza che aveva coinvolto milioni di cittadini e che andava ricordata, celebrata ed onorata nella sua drammatica dimensione di eroica abnegazione nazionale.
Nasce così e si afferma gradualmente “il mito collettivo dell’esperienza bellica ed il culto nazionale del caduto” che trova la sua prima solenne espressione, con grandi manifestazioni di partecipazione popolare, nell’ottobre del 1921 in occasione del trasferimento da Aquileia della salma del Milite Ignoto e della sua sepoltura nel Sacello dell’Altare della Patria in Roma 2°).
Da quel momento storico, il culto dei caduti assurge a culto di Stato, via via logisticamente gestito dal suo apparato amministrativo 3°). I cimiteri di guerra, ubicati nei territori bellici del nord Italia, vengono inizialmente concepiti come luoghi da calare in una “architettura del silenzio” e della riflessione che affida la sublimazione del sacrificio individuale alla perpetuità del tempo ed alla memoria dei posteri.
Questa concezione laica e liberale, tradotta nella sua espressione estetica e monumentale da una architettura novecentista non sempre uniforme, trova la sua più alta e compiuta espressione ideologica e simbolica nella realizzazione del Cimitero degli Invitti.
Realizzato sul Colle Sant’Elia (Fogliano di Redipuglia) per celebrare i caduti della III Armata nelle battaglie sull’Isonzo e sul Carso, viene inaugurato il 24 maggio 1923 da Mussolini e da Emanuele Filiberto duca D’Aosta 4°). Con le tombe distribuite su sette settori disposti a gironi concentrici in un percorso di circa 22 chilometri, sostituisce le lapidi tradizionali ed accompagna la presenza di simboli religiosi con cimeli di guerra, armi ed oggetti di uso quotidiano in trincea posti a ricordo del caduto. Su ogni tomba versi, motti o pensieri che esaltano l’epos popolare del sacrificio individuale e che solo nella loro intima e soggettiva sommatoria coniugano la gloria dei combattenti e con essa la gloria di un popolo.
Per la prima volta, in una società marcatamente classista ed ancora connotata dall’anticlericalismo della questione romana, viene celebrata ed esaltata la figura del soldato comune e la pietas che ne segna il destino. Per la prima volta specifici spazi di sepoltura, non solo ossari, vengono riservati alle salme degli oltre sessantamila militi rimasti ignoti ed offerti come luogo tangibile del cordoglio dei familiari. Ma questa celebrazione monumentale della morte in guerra del soldato, posta in una visione intimista del destino dell’uomo e calata in una “architettura necessaria” 5°) come ebbe a definirla Margherita Sarfatti, subirà presto, da lei stessa ispirata e sostenuta, una diversa interpretazione ideologica. Così il “Mito collettivo dei caduti”, che il Modernismo Futurista celebrava nell’aspetto epico ed estetico della “bella guerra vittoriosa” e “dell’uomo nuovo”6°), si verrà ad identificare progressivamente con quello della Vittoria, per coniugarsi nella trasposizione dei profili valoriali che l’avevano caratterizzata con l’ideologia fascista e con la sua rivoluzione.
Nella Commissione Nazionale per le Onoranze ai Militari d’Italia e dei Paesi Alleati Morti in guerra, costituita nel 1919 (R.D. 13.4.1919) e posta sotto la guida del Maresciallo d’Italia Armando Diaz quale organismo centralizzato nel Ministero della Guerra, viene istituito l’Ufficio Centrale per la Cura e le Onoranze alle Salme dei Caduti di Guerra (in acronimo COSCG). Questo organo esecutivo del Dicastero, opererà prima in Udine e dal 1927 in Padova sotto la direzione del generale Giovanni Fracovi. Compito dell’Ufficio fu quello di individuare tutte le salme presenti nel vasto campo delle operazioni belliche della prima Guerra Mondiale, riesumarle, identificarle e raccoglierne le ossa, per destinarle ai luoghi celebrativi di sepoltura collettiva. Mantenuta l’apertura dei cimiteri militari di Arsiero, Santo Stefano di Cadore ed Aquileia, vengono portati a compimento, in questo periodo il Cimitero degli Invitti (1923), l’Ossario del Pasubio (1926) e l’Ossario del Monte Cimone (1929). Inoltre, nella competizione delle progettazioni architettoniche che offrono soluzioni simboliche alternative agli scenari dei teatri di sepoltura, vengono riorganizzati, ampliati e predisposti per il loro assetto definitivo gli altri Sacrari 7°) presenti nei territori bellici.
Con la Legge 877 del 12.6.1931, risolta la questione Romana con i Patti Lateranensi ed ormai compiuta l’opera di fascistizzazione dell’Italia con il “Plebiscito” del marzo del 1929, viene accentrato il controllo politico sulla progettazione e realizzazione dei vari Sacrari per l’esaltazione e glorificazione dei profili epici della Vittoria in un rinnovato connubio simbolico con le componenti religiose. E’ l’anno in cui, raccogliendo l’idea di Emanuele Filiberto Duca d’Aosta 8°), viene concepito e si inizia a progettare il trasferimento del Cimitero degli Invitti posto sul Colle Sant’Elia a quello che sarà, collocato sul versante occidentale di Monte Sei Busi, il Sacrario Monumentale di Redipuglia che verrà inaugurato da Benito Mussolini il 19 settembre 1938 in occasione del ventennale della vittoria.
Liturgia della morte e Sacrari fascisti
Alla creazione del mito del soldato caduto in guerra, alimentato e posto al centro dell’azione statuale di concentrazione e celebrazione monumentale dei caduti nella Grande Guerra, si affianca e consolida all’interno del Partito Nazionale Fascista il culto del littorio, dei suoi riti simbolici e della funzione vitalistica e rigeneratrice dei suoi caduti. I funerali degli squadristi, sin dal 1919, sono cerimonie che rispondono ad una diversa ritualità non più legata alla liturgia del cordoglio o del rimpianto, ma fondata sulla celebrazione della rinascita attraverso il sacrificio della vita per la rivoluzione fascista. La sua celebrazione si ammanta di una veste di laica sacralità che culmina con la “conclamatio”, il rito dell’appello che vuole alla solenne chiamata del nome del defunto, la risposta corale dei partecipanti col grido “Presente”.
In una concezione eroica dell’esistenza umana tutta protesa all’affermazione dell’ideologia fascista, la vita trascende la morte, nutrendo del sangue dei suoi caduti la perpetuazione di una rivoluzione che si vuole in cammino perenne e che erige, nel culto dei martiri fascisti per la causa, uno dei suoi miti fondanti. Così il 1.2.1931, in occasione della presentazione dell’Albo d’Oro che elenca 360 Caduti della MVSN, viene inaugurato presso il Comando Generale della Milizia in Roma, via Romania il primo dei sacrari fascisti. Successivamente saranno eretti gli altri monumenti quale martirologio dei caduti per un avvenire radicato sulla romanità e sulle ambizioni imperiali. Anche per una parte della loro realizzazione, vengono effettuate le traslazioni delle salme per concentrarle in luoghi pubblici da proporre alla comunità sociale come cuore pulsante della rivoluzione fascista.
La prima cerimonia per l’inumazione di 52 salme di squadristi si svolge nella Certosa di Bologna (22-23 ottobre 1932) collegata alle celebrazioni del decennale della marcia su Roma. Negli stessi giorni, il 27 ottobre 1932, Mussolini inaugura a Palazzo Littorio la cappella dei “Caduti della Rivoluzione Fascista” il cui impianto sarà modello della successiva architettura commemorativa del Sacrario di Monte Grappa e di Redipuglia. Il 24 marzo 1933, la inaugurazione al Cimitero del Verano in Roma della Cappella dei caduti con la raccolta di dodici salme. Ed ancora il 27.10.1934 la tumulazione di 37 salme di fiorentini nella cripta della Basilica di Santa Croce in Firenze, per poi seguire con le celebrazioni intercorse in Ferrara il 20 dicembre del 1936 e la tumulazione di 10 caduti avvenuta in Siena il 27 novembre del 1938 nella cripta di San Domenico 9°).
Tutte espressioni di una centralità politica ed ideologica del rapporto con i caduti che portò il PNF ad emanare nel 1932 precise disposizioni ed a prevedere appositi finanziamenti, affinché in ogni Casa del Fascio, come a Roma nel Palazzo Littorio, si istituisse una Cappella-Sacrario per i martiri nella quale, anche senza la presenza fisica dei corpi, si svolgessero le cerimonie in onore dei caduti 10°).
La complementarità fra religione e politica
Con i Patti Lateranensi sottoscritti l’11 febbraio 1929, viene definita la questione romana che si trascinava fino dal 1870. Inframezzata dal “plebiscito” popolare del 24 marzo 1929 11°) e dallo scambio delle ratifiche avvenuto il 25 luglio del 1929, la “distensione“ dei rapporti Stato-Chiesa, pur lasciando aperte rilevanti problematiche, trova una sua soluzione con la sottoscrizione del Trattato e del Concordato 12°). Nella realtà pratica però, i Patti Lateranensi del 1929 rivelano la diversità di obbiettivi che Stato e Chiesa avevano cercato di perseguire con l’accordo. Come felicemente intuito da don Luigi Sturzo nel suo esilio londinese, il fascismo da una lato “avendo fatto del suo Stato una concezione etica totale ha cercato in tutti i modi di inserirvi la Chiesa, senza però perdere il suo carattere laico” mentre il Vaticano dall’altro, ha cercato “……. di dare allo Stato italiano l’impronta cattolica per garantirsi che la Chiesa cattolica fosse effettivamente e non solo di nome la religione dello Stato”. Nella sostanza, quindi, il patto lascia aperta un’insanabile dicotomia che troverà un campo di sotteso ma aperto contrasto nella pedagogia delle masse popolari ed in particolare di quelle giovanili, mentre cercherà e troverà un terreno di compromesso interpretativo nella celebrazione estetica e simbolica dei caduti della Grande Guerra.
In un clima sociale pesantemente condizionato se non addirittura apparentemente assorbito dai valori propagandati dal regime, il problema pedagogico con la Chiesa e la catechesi cattolica, ormai religione di stato, emerge in tutta la sua complessa evidenza e si protrarrà per tutto il ventennio. Infatti, da una parte, vi era l’educazione spirituale delle masse popolari la cui fede ed il cui radicato insegnamento religioso non poteva essere né disatteso né totalmente subordinato ai valori etici della patria. Dall’altro, nel campo educativo giovanile, l’indottrinamento di regime affidato all’Opera Nazionale Balilla 13°) vedeva, quale contraltare l’educazione cristiana affidata all’associazionismo dell’Azione Cattolica espressamente riconosciuto nel Concordato 14°), ma nei fatti fortemente represso e controllato.
La fascistizzazione dei caduti della Grande Guerra
Come già cennato, due anni dopo i Patti con legge 877 del 12.6.1931 viene accentrato al Regime il programmato controllo politico sulla progettazione e realizzazione dei vari Sacrari Militari, rielaborando architettonicamente i simboli funebri della religione cattolica per far convivere il culto della morte e della resurrezione cristiana con quello della “stirpe italica”. Una reinterpretazione valoriale e simbolica delle vicende e dei sacrifici bellici che troverà dal 1932, nell’opera organizzativa del generale Ugo Cei, Commissario straordinario in sostituzione del generale Giovanni Faracovi e del disciolto COSCG, ed in quella artistica ed architettonica di Giannino Castiglioni e di Giovanni Greppi, gli artefici della fascistizzazione della Grande Guerra. A loro, infatti, è dovuta la sistemazione definitiva del Sacrario del Monte Grappa, inaugurato il 22 settembre del 1935, che portava a soluzione i forti contrasti fra la Chiesa veneta e le associazioni laiche 15°), nonché la successiva progettazione e realizzazione del Sacrario Monumentale di Redipuglia.
In entrambe le opere, la rappresentazione della spiritualità religiosa attraverso una trasposizione interpretativa viene prospettata come complementare e fatta convivere con la trascendenza dei valori patrii e della rivoluzione fascista.
Emblematica di questa comunione, è la concezione dell’impianto architettonico che è rappresentato come un’armonica ascensione verso la cima della montagna per protrarsi idealmente verso la volta celeste, quale spazio infinito in cui proiettare l’eternità dei valori etico-religiosi. Su questo scenario naturale le tombe della miriade di caduti, collocate in cerchi concentrici sul Monte Grappa o schierate come un esercito sul monte Sei Busi, vogliono rappresentare il doloroso cammino esistenziale dell’uomo e del soldato, il suo percorso spirituale e quello eroico dell’ascesa progressiva verso la gloria, la memoria perenne e la vita eterna.
Un percorso che trova nella Via Crucis e nella via eroica delle battaglie, entrambi presenti nelle due opere monumentali, la tangibile testimonianza di questo itinerario contrassegnato dalla convivenza di simboli laici e religiosi. Sublimazione etica che culmina con le grandi Croci poste sulle vette delle due cime quale esaltazione del sacrificio estremo che porta alla resurrezione spirituale da una parte ed alla rigenerazione dell’uomo nella continuità della stirpe dall’altra. Ieratico connubio che marcato dalla presenza dei “Fasci d’azione” e dalla “conclamatio” con i tanti “presente” scolpiti sulle fasce marcapiano dei gradoni del Sacrario di Redipuglia, cerca di ridisegnare la storia riconducendo alla rivoluzione fascista quel sacrificio di centinaia di migliaia di soldati caduti nella prima guerra mondiale che gli era totalmente estraneo. Il 19 settembre 1938, in occasione della ricorrenza del ventennale della vittoria ed in concomitanza con la proclamazione delle leggi razziali 16°), Mussolini inaugurava il Sacrario di Redipuglia, ultimo monumentale atto di fascistizzazione della prima guerra mondiale e di manipolazione della sua memoria storica.
Ma il programma politico di sacralizzazione dei luoghi della Grande guerra non finisce con Redipuglia. Infatti vengono portati a termine i sacrari progettati anni prima, durante il commissariato Faracovi dai «suoi» architetti, all’inizio del 1936. Sotto la direzione di Cei, Greppi e Castiglioni vengono realizzati progetti diversi “già approvati dal Duce” dei sacrari di Pian di Salesei, Timau, Colle Isarco, Caporetto, Pola e Zara, ai quali si aggiungeranno, ancora in territorio altoatesino, quelli di Passo Resia e San Candido, e la sistemazione del tempio-sacrario sul colle monumentale di Santo Stefano a Bezzecca, che conserva, insieme, caduti garibaldini della terza guerra di indipendenza e caduti della Prima guerra mondiale. Nel 1939 il programma di fascistizzazione della memoria della Grande guerra e di appropriazione della vittoria può dirsi compiuto, ma non il destino del fascismo. Il regime si preparava ad affrontare un nuovo conflitto che si paventava all’orizzonte ed a celebrare nuovi eroi 17°).
Dopo il 1945
Con la caduta del fascismo e la fine della seconda guerra mondiale, i Sacrari fascisti presenti nelle case del fascio vennero tutti distrutti o rapidamente rimossi. L’unica eccezione è oggi rappresentata dalla Cappella Sacrario conservata in Varese, parzialmente da restaurare e dal dopoguerra rimasta chiusa al pubblico 18°).
Le opere monumentali, invece, presenti in Bologna, Firenze, Ferrara e Siena vennero prima spogliate in gran segreto delle salme dei caduti per la rivoluzione fascista e successivamente private di tutta la simbologia littoria per essere trasformati in luogo di celebrazione di tutti i caduti delle guerre. Così è avvenuto per la cripta di Santa Croce in Firenze, totalmente ristrutturata nel 1950 con la rimozione dei marmi e delle simbologie, ove è stata mantenuta solo una targa in ricordo di Giovanni Gentile chiusa al pubblico e che nel 1955 è stata trasformata in luogo di celebrazione partigiana con l’apposizione di nuove lapidi per tutti i caduti per la patria dal 1915 al 1945 19°).
Profondamente diversa era invece la problematica che si poneva per i Partiti Politici riguardo alle grandi opere monumentali oggetto di quella propaganda manipolatoria fascista che era entrata a far parte dell’immaginario e del culto collettivo. Necessitava, infatti, che il novello stato democratico e repubblicano, eliminate le rappresentazioni marmoree dei fasci littori, procedesse anche alla progressiva deideologizzazione dei luoghi, rimodulandone storia e significato per riconsacrarli – in una visione di continuità dello stato fondato nel 1861- all’attuale celebrazione dei valori universali dell’Uomo e del suo spirito.
Questo processo di defascistizzazione del culto dei caduti che ha investito la sua più alta espressione monumentale costituita dal Sacrario di Redipuglia, si è nel dopoguerra progressivamente realizzata attraverso l’intervento della Chiesa e la “questione dalmata”. La prima, dopo alcuni anni di recupero ideale, in termini laici e liberali, del sacrificio eroico del soldato caduto in guerra per la difesa della Patria, il 4 Novembre dell’Anno Santo 1950 , alla presenza di circa 30.000 persone a cui fu concessa per intercessione papale l’indulgenza plenaria 20°), lo riconsacrava ai più alti valori del martirio individuale quale emblematico viatico verso il riscatto spirituale dell’uomo. Mentre, nel 1952 con De Gasperi e nel 1953 con Pella, quali Presidenti del Consiglio, alla presenza di circa 100.000 partecipanti, era eretto a pulpito da cui rispondere a Tito nell’evolversi della questione di Trieste 21°). In pratica nel volgere di quasi un decennio il Sacrario di Redipuglia, spogliato in gran parte dai riferimenti ideologici alla “stirpe”, alla “romanità” , “all’impero” ed alla simbologia della rivoluzione fascista, veniva da una parte restituito alla tradizione di valore eroico del milite sempre “presente” nell’emozionalità collettiva e brandito quale monito al nemico jugoslavo e dall’altra alla sublimazione religiosa del suo sacrificio capace di aprire le porte dell’eternità.
Definita la questione di Trieste nel 1954 22°), il Sacrario di Redipuglia ha mantenuto un ruolo centrale nel corso di tutti gli anni sessanta e settanta per le Celebrazioni del 4 novembre, registrando sempre svariate migliaia di partecipanti 23°) e rappresentando sino agli anni più recenti, anche se con presenze numericamente sempre più contenute, il Tempio Nazionale della memoria e dei caduti della Grande Guerra.
Redipuglia simbolo di Pace e di Fratellanza Universale.
Ma ciò che sembrava un percorso ideale ormai compiuto nel ripristino progressivo dell’autenticità valoriale e storica delle celebrazioni si è aperto di recente a nuove, diverse ed universali interpretazioni.
Infatti, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia dall’Istituto “Strigher” di Udine, parte il progetto “Umanità nella Guerra” finalizzato a portare i giovani studenti oltre gli avvenimenti bellici noti e codificati per scoprire e sviluppare uno spirito nuovo che recuperi il senso dell’uomo e della sua interazione sociale dentro gli accadimenti storici. L’iniziativa viene raccolta dall’ordinario militare per l’Italia, arcivescovo Santo Marcianò e condivisa dal rettore del Sacrario di Redipuglia don Sigismondo Schiavo, e porta alla ristrutturazione della Cappella posta alla sommità del Sacrario che il 3 Settembre 2015 viene consacrata nel nome della Madonna Regina della Pace, nome che viene riprodotto nelle 19 lingue rappresentanti le nazionalità di tutti i militari partecipanti alla Grande Guerra.
Così, per la prima volta nella Storia, un Papa si reca in visita al Sacrario, dando voce ad una nuova lettura universale dei luoghi e dei simboli che pone l’uomo, la sua fede ed il suo operato al centro dell’umanità. Il 13 settembre 2015, Papa Bergoglio dopo essersi recato in visita e preghiera al cimitero austroungarico di Folignano, luogo di sepoltura di 14.450 salme di soldati, di cui 7 mila di soldati ignoti, ha raggiunto il Sacrario di Redipuglia ove alla presenza dei vescovi di tutti i paesi belligeranti e degli ordinari militari provenienti da molte parti del mondo ha celebrato l’eucarestia nella Cappella della Madonna Regina della Pace, consegnando ai cappellani militari le lampade accese dalla fiamma del sepolcro ove riposa S.Francesco d’Assisi. Un lume simbolo cristiano della luce della fede che squarcia le tenebre della morte ma anche simbolo laico della ragione che abbatte l’oscurità dell’ideologia e della superstizione. “Un invito ai popoli della Terra a dare ascolto prima di tutto alla voce di Dio insita nel cuore di tutti gli uomini che ispira sentimenti di fratellanza universale e svuota dal di dentro i conflitti, siano essi ispirati dalla supposta supremazia di un popolo o di una razza sull’altra, come dalle costruzioni ideologiche che promettono paradisi terreni o dal delirio integralista che trasforma le religioni in sanguinari Stati teocratici 24°)”.
Con l’erezione a “simbolo di pace e di fratellanza universale” per la Chiesa Cattolica, un nuovo significato contrassegna oggi l’evoluzione dei valori che il Sacrario di Redipuglia ha rappresentato e trasmesso nella storia del nostro paese. In attesa che questo nuovo messaggio si affermi anche nel mondo laico per esaltare quel dettato costituzionale che aborrisce la guerra quale principio fondante del nostro patto sociale repubblicano e democratico, matureranno i tempi perchè venga posto ai suoi piedi, magari in diciannove lingue, il monito “Never Against” 25°) . Ultima simbolica trasposizione della vita contro la morte e della ragione contro ogni oscurantismo.
Il Sacrario della Polizia
Nell’itinerario storico tracciato, il Sacrario della Polizia, pur non estraneo all’influenza socio-politica dei tempi, si pone quale intimo e riservato simbolo della continuità istituzionale e della tradizione dei suoi uomini caduti nell’adempimento del dovere. Nasce e si conserva all’interno delle scuole di polizia romane prima di Via Garibaldi e poi di via Guido Reni, quale patrimonio della memoria e dell’appartenenza propri della funzione di pubblica sicurezza che ha posto l’osservanza della legge e la solidarietà sociale a base del proprio ultrasecolare operato.
La prima Cappella-Sacrario della Polizia viene istituita, come semplice luogo di celebrazione dei caduti, presso la Scuola Allievi Guardie di Città di Roma in Via Garibaldi ai civici 41- 45 26°). L’edificio, progettato dal Vanvitelli e costruito da privati nel 1744, venne originariamente concepito come fabbrica per la manifattura dei tabacchi passando nel 1775 e per oltre cento anni in proprietà alla Dataria Apostolica per essere destinato in parte , da papa Pio VI, a sede del Conservatorio Pio per il ricovero e l’educazione delle giovani orfane avviate alla lavorazione del lino.
Dopo alterne vicende ed il fallimento della manifattura tabacchi, tutto il complesso edilizio, che nel frattempo (1777) si era ampliato con l’acquisto dell’edificio posto al civico 38 al tempo già sede del Conservatorio dell’Assunta, veniva nel 1880 acquistato dallo Stato per collocarvi prima il Ministero della Pubblica Istruzione che ne fece sede della Clinica Chirurgica e nel 1890 il Ministero dell’Interno che lo destinò – con un ulteriore ampliamento intercorso nel 1905 con l’occupazione dei locali destinati alla Clinica chirurgica – a sede delle Guardie di Città con la sua Scuola per Sottufficiali e Guardie 27°).
All’interno dei grandi edifici 28°),stante la loro precedente occupazione ad opera dei Conservatori Pio e dell’Assunta con la manifattura del lino, entrambi gestiti da ordini monacali, era ubicata una Cappella religiosa quale luogo di raccoglimento e preghiera quotidiana per le orfane e le monache e per la celebrazione delle funzioni settimanali e delle festività religiose. Destinazione, questa, che rimase nel tempo inalterata con l’acquisizione del complesso edilizio da parte dello Stato sia con l’insediamento iniziale della Clinica Chirurgica, che la utilizzò probabilmente anche quale cappella mortuaria, che con la successiva destinazione a sede della Scuola Allievi delle Guardie di Città.
Ambiente deputato alla cura spirituale e religiosa dei giovani allievi, la Cappella divenne ben presto anche luogo per la celebrazione del ricordo dei caduti durante la ritualità delle funzioni. Così nasce ed assume corpo una progressiva formazione di quella memoria istituzionale che costituendo elemento essenziale della didattica dell’appartenenza ne diveniva simbolo significativo. Processo che, nei primi lustri del novecento, vedeva l’affermarsi in una parte minimale del Corpo e nei funzionari di polizia che lo dirigevano 29°) dei primi connotati della moderna funzione della pubblica sicurezza 30°) nonché quelli di generoso ausilio alle popolazioni in occasione dei terremoti di Messina (28.12.1908) e di Avezzano (13.01.1915) 31°). Inoltre, questo itinerario evolutivo della pubblica sicurezza di cui le Guardie di Città ne costituivano anche se solo nella parte più qualificata del personale la concreta espressione, era costellato da un numero consistente di riconoscimenti al Valor Militare ed al Valor Civile 32°) nonché dal rilevante numero dei caduti Vittime del Dovere 33°) ricordate nella pubblicazione del Manuale dell’Astengo alla rubrica Funzionari, Ufficiali ed Agenti di P.S. Vittime del Dovere 34°). Pertanto, alla fine della Grande Guerra e prima dello scioglimento del Corpo, la sua tradizione storica ed il culto dei Caduti trovava nella Cappella religiosa, posta all’interno della Scuola Allievi, il luogo di sintesi e di alimentazione della sua memoria quale testimonianza viva su cui nutrire le prime radici dell’appartenenza. Su tale tessuto connettivo, ispessito da una tradizione valoriale risalente negli anni, l’Ufficio Storico della Polizia ha collocato la edificazione della prima Cappella-Sacrario che già dai primi anni del 1900, a seguito di una circolare Crispi indirizzata alle Prefetture perché fossero censiti i caduti della Polizia, avrebbe dovuto essere completata attraverso l’apposizione al suo interno di targhe marmoree con la riproduzione dei loro nomi. Ma il programma, ormai datato, non ebbe modo di realizzarsi vuoi per i grandi sommovimenti sociali nati nel dopoguerra e che occuparono un Corpo numericamente modesto e strutturalmente inadeguato agli abnormi impegni di sicurezza ed ordine pubblico e vuoi per il suo scioglimento voluto dal Presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno Francesco Saverio Nitti col RD.02.10.1919 nr.1790 e la sua sostituzione con il Corpo degli Agenti d’Investigazione e con la Guardia Regia per la Pubblica Sicurezza. È da dire, inoltre, che l’idea della creazione di una Cappella-Sacrario trovava riferimento, anche se con finalità profondamente diverse, in quelle esigenze politico-sociali nate nell’immediato dopoguerra e che avevano determinato la creazione, con RD 13.4.1919 del COSCG (Ufficio Centrale per la Cura e le Onoranze alle salme dei Caduti). In pratica mentre si affermava nello stato liberale, soprattutto attraverso la componente nazionalista, il culto popolare dei militi caduti nella Grande Guerra e se ne elaborava il lutto collettivo con la concentrazione delle salme nei Cimiteri Militari esistenti ed in quelli che verranno negli anni successivi eretti a Sacrario, il Corpo delle Guardie di Città riconduceva alla Cappella, Sacrario simbolico dei suoi Caduti, il tangibile riferimento alla memoria storica ed alla tradizione del Corpo, strumento pedagogico per gli allievi e componente valoriale cui ispirare l’azione quotidiana del loro operato.
Con lo scioglimento del Corpo delle Guardie di Città, la Scuola Allievi veniva definitivamente trasferita da Via Garibaldi a Caserta, mentre l’edificio che la ospitava venne temporaneamente destinato a reparto della Guardia Regia in cui erano confluite le Guardie di Città che non erano entrate nel precostituito Corpo Agenti d’Investigazione. Nel corso dei primi mesi del 1920, mentre se ne completava il reclutamento con ex combattenti appartenenti soprattutto al Regio Esercito 35°), il reparto della Guardia Regia per la Pubblica Sicurezza veniva trasferito da via Garibaldi nelle Caserme di Via Guido Reni, nel quartiere Flaminio, ove veniva implementato dai primi due squadroni a cavallo 36°) e dove veniva anche costituita la prima Scuola per Allievi Ufficiali ed Allievi Sottufficiali 37°).
Corpo ad ordinamento militare e parte integrante delle Forze Armate, la Guardia Regia per la Pubblica Sicurezza, costituita con R.D. 1790 del 2.10.1919 e posto per la prima volta alle dipendenze del Ministero dell’Interno ed a disposizione dell’Autorità di P.S., viene deputato alla gestione dell’ordine pubblico ed insediato nelle grandi città per far fronte, in difesa di uno stato liberale in profonda crisi, agli attacchi dei sommovimenti politici e popolari organizzati dai suoi nemici interni. “L’alto numero di soldati e, in particolare, i nuovi Ufficiali esaltano il carattere militare del Corpo riproducendo condizioni e modi di vita tipici delle Forze Armate creandone una visione quasi mistica quale continuazione del glorioso Esercito vittorioso. Il Corpo si pone come un organismo armato di Polizia scelto ed efficiente che gode di particolare attenzione e protezione da parte del Governo” 38°).
Con la rapida formazione della legione romana ed il suo insediamento nella Caserma di Via Guido Reni accompagnata dalla creazione della Scuola Allievi Ufficiali e Sottufficiali della Regia Guardia, anche la Cappella religiosa ivi realizzata, raccogliendo l’ideale destinazione già concepita nella sede della Scuola Allievi Guardie di Via Garibaldi, assume la valenza di luogo deputato alla memoria dei caduti e della tradizione ereditata dal Corpo delle Guardie di Città. D’altro canto, a pochi mesi dalla sua costituzione, il 26 giugno del 1920, nel corso della repressione dei moti di Ancona, anche la Guardia Regia registra i primi caduti i cui nomi, per la prima volta e nello stesso anno, vengono scolpiti in una lapide marmorea affissa nella questura della città 39°). L’evento collega le nuove Vittime del Dovere a quelle cadute prestando servizio nelle Guardie di Città, attribuendo continuità storica e significato emozionale al loro sacrificio personale che trova nella Cappella il luogo sacro per la vivificazione del ricordo e dell’esempio di virtù.
Per lo spazio della breve vita della Guardia Regia per la Pubblica Sicurezza, durata solo tre anni e sciolta con R.D. 31.12.1922 con seguito di ammutinamenti e tragiche rivolte 40°), non si rinvengono memorie e/o riferimenti specifici al Sacrario della Polizia allocato idealmente nella Cappella della Scuola di via Guido Reni. In assenza di fonti dirette, comunque, si può verosimilmente ritenere che le 54 Guardie cadute nel triennio di vita del Corpo abbiano avuto in quella Cappella il luogo di sepoltura simbolico e di celebrazione delle loro gesta e del loro sacrificio a difesa dello stato liberale. Non è pensabile, infatti, che un Corpo fortemente militarizzato, scarsamente amato dai vertici delle Forze Armate 41°) e dalla popolazione civile, inviso a socialisti, a nazionalisti e ai fascisti 42°), in una equidistanza non sempre cristallina dalle fazioni politiche, non trovasse proprio nella Cappella Religiosa il luogo ove, attraverso la celebrazione dei propri caduti e del patrimonio valoriale a loro riconducibile, esorcizzare e superare quella sorta di isolamento socio-politico che viveva.
Con la marcia su Roma del 28.10.1922 e l’avvento del fascismo, nel quadro delle riforme varate per l’unificazione delle forze di polizia volute dal neonato regime, vengono disciolti con R.D. 1680 del 31.12.1922 gli Agenti Investigativi e la Guardia Regia che confluiscono, quest’ultima in minima parte, nel Ruolo Specializzato dei Carabinieri Reali. Nel contempo viene creata il 14 gennaio 1923 la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale che raccoglie, istituzionalizzandoli, gli appartenenti allo squadrismo fascista.
La creazione del Ruolo Specializzato dei Carabinieri Reali, impiegato nei servizi tecnici di vigilanza e di indagine in abito civile, si risolve, nelle mire del nascente regime fascista, in un tentativo non riuscito di cancellazione della Polizia. Infatti, per quanto amministrato dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, rimane inalterato nell’organico dei funzionari civili destinati alla guida operativa delle attività di Pubblica Sicurezza e nell’ordinamento degli uffici di P.S. quali le Questure ed i Commissariati.
Così in Roma, le caserme di Via Guido Reni vedono l’insediamento del “Ruolo Specializzato” e la costituzione, nei primi mesi del 1923, della Regia Scuola Tecnica di Polizia in sostituzione della Scuola Allievi Ufficiali e Sottufficiali della Guardia Regia. Negli stessi anni, inoltre, fatta eccezione per la raccolta delle salme dei soldati caduti nella Grande Guerra e per la sistemazione dei cimiteri di guerra, si registra la soppressione del servizio istituzionale di assistenza religiosa ai militari prestato dall’Ordinariato Militare 43°) , il quale, ripristinato formalmente nel 1925, continua comunque a svolgere la propria missione, anche riguardo alle Forze di Polizia, attraverso l’opera di volontariato dei parroci territoriali.
La riforma delle Forze di Pubblica Sicurezza ed il loro accorpamento nell’Arma dei Carabinieri, ebbe vita breve assumendo, per ragioni di equilibrio politico, carattere transitorio. Infatti con R.D. nr. 383 del 2.4.1925 veniva istituito, alle dipendenze del Ministero dell’Interno, il Corpo degli Agenti di P.S. con un organico di 12.144 uomini in cui andrà a confluire per intero il Ruolo Specializzato dei Carabinieri Reali.
Questa ulteriore riforma, occorsa nell’arco di soli sei anni (1919-1925), non incide sostanzialmente sulla scuola di Via Guido Reni la quale mantiene sia l’intitolazione a Regia Scuola Tecnica di Polizia sia la gestione dei corsi di formazione per gli Ufficiali e i Sottufficiali di Pubblica Sicurezza. Inoltre, nei primissimi anni di vita del Corpo degli Agenti di P.S., la Cappella Religiosa della Polizia assume la veste definitiva di Sacrario – Infatti, in un articolo memoriale di Francesco Magistri 44°), l’autore ricorda come nel settembre del 1928, la facciata esterna della Cappella portasse la scritta “Sacrario” e come sopra al portale di ingresso della stessa fosse presente in bronzo il monito “Tombe sempre aperte….ferite ancora sanguinanti…voci che non taceranno mai”.
D’altro canto gli uomini che andarono a formare il Corpo degli Agenti di P.S., costituito a solo 27 mesi di distanza dallo scioglimento del Corpo degli Agenti d’Investigazione 45°) e che a sua volta con la riforma del 1922 era confluito in blocco nel Ruolo Specializzato dei Carabinieri Reali, provenivano storicamente in ampia maggioranza dalle fila della Polizia. E’ da ritenersi, quindi, che nel susseguirsi dei cambiamenti istituzionali voluti in quel sessennio dalla politica liberale prima e fascista poi, l’esigenza di riaffermare le proprie radici e la propria non trascurabile tradizione storica, trovasse nella Cappella già eretta a sacro luogo della memoria il simbolo per marcare una continuità ed identità storica solo temporaneamente ed apparentemente interrotta.
E lo stesso monito che viene impresso sulla facciata della Cappella-Sacrario, per offrirsi alla vista di chi vi entra, ne costituisce inequivoca espressione. Le Tombe dei Caduti sono sempre aperte perché la tumulazione dei loro corpi non ne ha determinato l’oblio della memoria, le Ferite sono ancora sanguinanti nella viva ed imperitura attualità del sacrificio personale, ed infine le Voci che non taceranno mai si pongono quale eco permanente che proietta nel futuro un esempio di virtù che affonda le sue radici in una tradizione risalente nel tempo. Una espressiva sintesi onomatopeica che nel rimarcare ruolo e funzione storica dei vari organismi di Polizia nella cura della Pubblica Sicurezza, ne riafferma l’ininterrotto perdurare dei contenuti ideali e valoriali posti a presidio del suo operato. L’esigenza di sostenere lo spirito di Corpo trova, ancora una volta, nella Cappella-Sacrario, il punto di riferimento deputato all’affermazione di una tradizione che si vuole ereditata nella sua fisiologica continuità dagli Agenti di P.S. .
Così mentre in quegli anni la società civile è orientata alla celebrazione collettiva del culto dei caduti, che trova nell’erezione dei grandi sacrari di Monte Grappa e del Cimitero degli Invitti le sue prime monumentali espressioni, il Sacrario della Polizia si conserva quale discreto ed intimo patrimonio valoriale del Corpo lontano da ogni pubblica ritualità e da ogni celebrazione politica. Neppure negli anni trenta, quando il processo di fascistizzazione della Grande Guerra e della Vittoria e quello dell’Istituzione stessa raggiunge la maggiore penetrazione ideologica da parte del regime, la Cappella-Sacrario pare subire le influenze estetiche di un adeguamento ideologico all’imperante rivoluzione fascista. Per molti anni nessun segno della simbologia littoria compare al suo interno o all’esterno, nessun riferimento alla “conclamatio” così dirompente in tutti i diffusi Sacrari fascisti, in quelli della MVSN ed in quello monumentale di Redipuglia, nessun richiamo alla romanità. Ed ancora, nessun riferimento ideologico è presente, riguardo agli effetti dei Patti Lateranensi che hanno portato, nell’erezione dei vari Sacrari nazionali, al connubio fra i simboli funebri della religione cattolica e quelli laici della “Stirpe Italica” quali espressioni comuni del culto della morte e della resurrezione. L’interno della Cappella, infatti, porta solo i simboli religiosi ed è destinato esclusivamente alla liturgia cattolica che prevede, nella sua ritualità, il ricordo dei caduti per la patria quale esempio di generosità e di virtù terrene e quale viatico all’eternità spirituale. Neppure dopo la consegna della Bandiera al Corpo 46°) avvenuta il 18.10.1930, quale riconoscimento identitario del suo insostituibile ruolo sociale, l’immagine estetica del Sacrario della Polizia raccoglie il riflesso di alcuna delle simbologie e delle trasposizioni etico-religiose, di cui la propaganda del Partito Nazionale Fascista aveva vestito il culto dei caduti manipolando la storia della Grande Guerra e piegandola ai fasti del regime. Solo nel 1942 al momento della sua inaugurazione pubblica, in pieno clima bellico e di crisi del regime, compariranno sopra al portale della Cappella due fasci d’azione in marmo, simbolo istituzionale dello Stato Fascista, con al centro il fregio del Corpo rappresentato dall’aquila ad ali rialzate.
Si può affermare, pertanto, come durante il ventennio, il Sacrario della Polizia conservi i connotati di patrimonio endogeno del Corpo, la sua funzione nella didattica dell’appartenenza e nella conservazione della tradizione storica, rimanendo in tal modo escluso da ogni forma di esaltazione e celebrazione pubblica. In tal senso protetto nella sua immagine estetica dalla volontà del Capo della Polizia Arturo Bocchini che nel bloccare con il placet mussoliniano ogni tentativo di penetrazione e controllo della Polizia da parte del PNF 47°), evitò che il Monumento celebrativo potesse subire una qualsiasi forma di contaminazione attraverso la presenza dei richiami alla simbologia littoria.
Per quanto mai rivendicata apertamente, si trattava di una sottesa scelta di autonomia che privilegiando l’applicazione della Legge quale espressione della ragion di Stato rispetto all’ideologia del PNF, poneva il Sacrario quale simbolo ideologicamente estraneo alla rivoluzione fascista ed alla sua macchina propagandistica che aveva nei Sacrari Monumentali della Grande Guerra, in quelli del PNF e della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale, “Le Are sacre e gloriose ove celebrare i valori supremi del sacrificio e del dovere” 48°). Per tali ragioni, viene totalmente escluso dalle liturgie celebrative della Festa della Polizia e “l’onore e l’amor patrio testimoniato dai suoi caduti” posto in quel limbo della memoria collettiva ove il regime era solito collocare tutto ciò che non era funzionale ai suoi messaggi di esaltazione sociale 49°).
Nel 1938, con la promulgazione delle leggi razziali avvenuta in concomitanza con l’inaugurazione del Sacrario di Redipuglia, la creazione della Polizia dell’Africa Orientale ben presto denominata PAI ( Polizia Africa Italiana) per la gestione della Pubblica Sicurezza nelle Colonie, il Corpo degli Agenti di P.S. viene maggiormente coinvolto nella politica del regime che si prepara alla guerra. Nei primi mesi del 1940 , per volontà del Capo del Governo, viene formato alla Scuola di Caserta il primo Battaglione Motociclisti, che nel giugno con l’entrata in guerra dell’Italia viene mobilitato e destinato nei Balcani. Alla fine dell’anno, il 20 novembre 1940, muore il Capo della Polizia Arturo Bocchini e viene sostituito dal suo Vice Carmine Senise che ne eredita e prosegue la discreta visione autonomista del Corpo. Nelle vicende belliche che si susseguono sui vari fronti, il primo Battaglione Motociclisti dal luglio del 1941 si rende protagonista nel Montenegro ed in Dalmazia di azioni e conflitti che registrano i primi caduti 50°) e numerosi feriti che porteranno in breve tempo alla falcidie di quasi un terzo dei suoi componenti. Il richiamo in Patria, nel febbraio del 1942, in previsione della sua riorganizzazione e della creazione del Secondo Battaglione Motociclisti, avviene in un’aura ammantata di eroicità dalle gesta e dal sacrificio dei suoi uomini. Carmine Senise, nel recepire l’alto significato etico e patriottico di quegli avvenimenti bellici, coglie l’opportunità per promuovere una consacrazione formale dei caduti della Pubblica Sicurezza all’interno del Sacrario di Via Guido Reni.
Così, quell’autonomia dal PNF che aveva mantenuto lontano dal Sacrario la simbologia Littoria rendendolo estraneo alle celebrazioni di regime, viene ulteriormente marcata ponendo all’interno della Cappella le lapidi marmoree dei tanti caduti della Pubblica Sicurezza. Sono 18 lapidi che riportano, anche se non esaustivamente, non solo i nomi dei caduti del primo Battaglione Motociclisti e del Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza, ma anche quelli della Guardia Regia e degli Agenti Investigativi, delle Guardie di Città e del Corpo della Guardie di Pubblica Sicurezza, in una prospettazione storica della funzione dell’Istituzione che riproponendo le proprie origini legate all’affermazione della ragion di Stato e della legge si poneva al di là del ventennio e della sua rivoluzione fascista.
Collocate le lapidi sulle pareti interne della Cappella ed apposti due fasci d’azione ai lati del fregio del Corpo sul portale d’ingresso, il Sacrario viene formalmente inaugurato in occasione della celebrazione della Festa della Polizia la domenica del 18 ottobre 1942. La cerimonia vede la partecipazione dell’Ordinario Militare d’Italia vescovo S.E.R. Mons. Angelo Bartolomasi che benedirà il Tempio e le Lapidi, il sottosegretario all’Interno Guido Buffarini Guidi che accenderà la luce perenne della lampada votiva, il Capo della Polizia Carmine Senise, Questore, Prefetto, funzionari, il Comandante e gli Ufficiali della Scuola. Brillano le assenze del Capo del Governo e delle massime autorità Militari oltre ai rappresentanti della MVSN e del PNF. Nel silenzio della grancassa della propaganda di regime, si rinviene la notizia pubblicata nella Cronaca di Roma del Messaggero del 19 ottobre che dedica invece la sua prima pagina all’amnistia del ventennale della marcia su Roma.
Ormai i destini dell’Italia legati all’andamento bellico ed alla crisi del regime precipitano rapidamente, inaugurando uno dei periodi più tragici della nostra storia del novecento. Pochi mesi dopo, il 14 aprile del 1943, a seguito degli scioperi nel nord Italia repressi senza l’uso delle armi, Carmine Senise, fortemente discusso anche per le sue tendenze filomonarchiche, viene rimosso dall’incarico di Capo della Polizia e messo a disposizione del Ministero dell’Interno: lo sostituisce Lorenzo Chierici. Nei mesi successivi Senise partecipa all’organizzazione del colpo di stato del 25 luglio che porterà alla destituzione ed all’arresto di Mussolini, alla formazione del Governo Badoglio ed al suo reinsediamento nel ruolo di Capo della Polizia. Il 31.7.1943 col RDL 687 il Corpo degli Agenti di P.S. viene militarizzato riprendendo la primogenita denominazione di Corpo delle Guardie di P.S. ed entrando a far parte delle Forze Armate e Carmine Senise ne guiderà ancora i destini per soli quarantacinque giorni. L’annuncio dell’armistizio di Cassibile avvenuto il 3-8 settembre con la fuga del Re e del Governo nel meridione, l’accordo del 10 settembre con i nazisti che riconosceva a Roma lo stato di Città Aperta in coincidenza con la liberazione di Mussolini da Campo Imperatore, vedono Senise ancora protagonista di alcune delle pagine più discusse della nostra storia. Il 22 settembre arrestato al Viminale dalle SS di Kappler, viene avviato assieme al generale Riccardo Maraffa e al colonnello Cesare Sabatino Galli al campo di concentramento di Dachau. La riorganizzazione al nord dello Stato fascista con la fondazione della RSI e l’occupazione tedesca dell’Italia, l’azione incontrollata delle Bande fasciste nel centro-nord, la Resistenza partigiana progressivamente sostenuta dalla Forze Alleate che salivano dal Sud dopo lo sbarco in Sicilia ed ad Anzio , la formazione dei governi di Salerno, segnano le drammatiche vicende di una tragica guerra civile che protrarrà i suoi effetti, con le sue scie di sangue fatte anche di vendette ed esecuzioni sommarie, ben oltre la liberazione del 25 aprile 1945.
Dopo la caduta del fascismo, con il Governo di Ferruccio Parri (21.6.45-8.12.1945), la ricostruzione del nuovo Corpo della Guardie di Pubblica Sicurezza51°) viene implementato dalla disciolta P.A.I. e da militi e personale delle più svariate provenienze 52°). Successivamente, con il primo Governo De Gasperi (10.12.45-1.7.46) il Ministro dell’Interno Giuseppe Romita, dispone la riapertura delle scuole di Polizia di Roma, Caserta e Nettuno. Nel maggio del 1946 , sotto la guida del Ten. Col. Giuseppe de Gaetano, mentre ancora sono in corso i lavori di ristrutturazione degli ambienti, la Scuola di Via Guido Reni inaugura il 1° Corso Allievi Guardie di P.S. che verrà licenziato nel novembre successivo 53°) mentre era già entrato in carica il 2° Governo De Gasperi (primo Governo Repubblicano dopo le elezioni del 2 giugno 46 per la Costituente ed il Referendum) con la sua gestione ad interim del Ministero dell’Interno (15.7.46-2.2.1947). Solo durante il 3°e 4° Governo De Gasperi – Ministro dell’Interno Mario Scelba – il 2° Corso Allievi Guardie di P.S, iniziato nel novembre del 1946, si chiude nel maggio del 1947 con la deposizione di una corona di alloro al Sacrario dei Caduti della Polizia cui erano stati rimossi i fasci d’azione dalla facciata.
Da questo momento in poi, mentre i Sacrari del PNF e della MVSN vengono progressivamente smantellati, gli onori ai Caduti della Polizia rappresentati simbolicamente nel Sacrario delle Scuole di Via Guido Reni, diventano meta ufficiale e punto di riferimento di tutte le manifestazioni della Polizia: dall’insediamento dei Capi della Polizia a quelli dei Ministri dell’interno, dal ricevimento delle delegazioni estere all’inizio ed alla conclusione dei vari corsi di istruzione o specializzazione, a tutte le feste celebrate dall’istituzione prima e dalla sua Associazione Nazionale dopo il 1968.
In questo crescendo di attenzioni pubbliche il Sacro Tempio dei Caduti viene progressivamente implementato dai nomi di nobili figure quali Maurizio Giglio e Pietro Lungaro, fucilati alle Fosse Ardeatine, dalle Medaglie d‘Oro al V.M. Martini, Foti e Massarelli, i primi uccisi a seguito di un attentato ed il terzo per contrastare rapinatori, e di molti altri caduti nell’adempimento del dovere. Mentre Palatucci, decine di agenti infoibati nelle provincie istriane e dalmate, ed altre figure di eroici combattenti come Orecchioni, Sterpetti, Mollica, De Palma, Dionisi, Zanussi e tanti Caduti della PAI, dovranno attendere per anni il riconoscimento della perpetuazione del loro sacrificio. Ma la Storia, al di là degli opportunismi politici del momento, ha saputo restituire ai loro sentimenti, alla loro idealità, alla loro generosità ed al loro coraggio la giusta collocazione nel novero degli uomini capaci di lasciare traccia della loro esistenza, arricchendo un quadro di Valori che in loro assenza sarebbe rimasto incompiuto.
Dopo la riforma del 1981 e nei primi anni novanta, col sorgere progressivo di un nuovo impegno storiografico riguardante la Pubblica Sicurezza, la Cappella Sacrario, ormai divenuta simbolo istituzionale, viene impreziosita da due grandi pannelli, posti ai lati dell’altare, che sintetizzano la storia ed il ruolo sociale svolto dalla Polizia sino alla formazione della Repubblica Democratica.
Nello stesso periodo, accresciute esigenze di completezza, impegnano l’Ufficio Storico in analitiche ricerche archivistiche e storiche finalizzate alla ricostruzione dei profili biografici di numerosi caduti per servizio. Nel volgere di pochi anni il lavoro mirato di quell’Ufficio, estesosi a ritroso sino agli anni della fondazione della Pubblica Sicurezza, porta alla ricostruzione dei profili di oltre mille caduti non ricordati nel Sacrario. Si tratta del recupero dei frammenti di un itinerario storico che consolidano una tradizione di sacrificio valoriale riaffermata negli ultimi decenni dai tanti Caduti nella lotta al terrorismo, alle mafie, alla criminalità comune e nei servizi di ordine pubblico e di istituto.
Gli spazi del Sacrario divengono pertanto fisiologicamente incapienti a recepire un così accresciuto martirologio della Polizia e nel contempo la metodica di utilizzo delle lapidi marmoree si rivela ormai inadeguata ad esprimerne la sua compiuta memoria. Emerge così l’esigenza culturale di concepire l’ambiente attraverso un nuovo orizzonte estetico, ideale e simbologico, capace di rappresentare, attualizzandole, le più estese dimensioni della tradizione storica e del culto dei Caduti. Negli anni 2000, l’impegno viene recepito dal Capo della Polizia Giovanni De Gennaro e tradotto nel dialogo collaborativo di Mario Esposito, Direttore della Scuola Superiore di Polizia mercé la sensibilità progettuale del maestro Mario Ceroli 54°). Il 16 luglio 2004 alla presenza del Capo dello Stato Azeglio Ciampi, che dichiarerà di esserne rimasto profondamente toccato, con la benedizione del cardinale Giovanni Battista Re e la partecipazione dei più alti vertici della Polizia di Stato, viene inaugurato il nuovo Sacrario.
La Cappella, integralmente ristrutturata, si presenta con l’effigie del patrono San Michele Arcangelo che ne sovrasta l’altare ai cui lati è posta la croce ed un tabernacolo dodecagonale che lascia trasparire cristalli spezzati. Simbologia che offre alla sacralità dell’eucarestia, monda da ogni ultroneo riferimento ideologico, la descrizione della pura spiritualità del passaggio terreno dell’uomo e della sua capacità di donare se stesso agli altri. Inoltre, il suo collegamento diretto col Sacrario, che ne impone l’attraversamento parziale per accedervi, richiama la trasposizione ideale dei percorsi esistenziali dell’essere umano che coniugano l’itinerario della religione della “Fede” con quello della religione laica del “Dovere”.
Ed è proprio sull’elemento valoriale del “Dovere” che viene concepita l’architettura del Sacro Tempio, la quale affida la costruzione della memoria storica a paritetiche formelle trasparenti che riportano il nome e le date di nascita e morte delle sue Vittime. Lungi da ogni retorica dell’eguaglianza, i Caduti vengono semplicemente collegati al denominatore comune del generoso dono della vita, lasciando alle cronache o alla storiografia biografica il compito di lumeggiare e descrivere i termini dell’estremo sacrificio personale in cui si è consumato l’adempimento del dovere.
Oltre 2500 formelle individuali adornano le pareti dal pavimento sino a raggiungere il soffitto ove è raffigurato un cielo che cala in una discreta penombra l’intero ambiente. Qui una geniale scelta scenografica dell’autore, utilizzando un sapiente gioco di luci, permette di riflettere il colore del cielo sulle pareti vestendo le targhe delle varie tonalità cromatiche del bleu. Ne consegue un effetto di profonda suggestione visiva e simbolica, in quanto un ambiente apparentemente statico e monocorde, si anima del dinamismo tipico di un cromatismo cangiante attraverso l’intensità e la direzione dell’illuminazione. Così ogni formella vive, pulsa fra la piena luce e la penombra nelle varie sfumature, per raggiungere il risultato espressivo di una memoria attuale e vitale che si propone agli occhi del visitatore in tutta la sua tradizione storica. Una tradizione di lutti intrisi di abnegazione e valore, di sangue e dolore, di generosità e sacrificio in un messaggio didattico di immediata percezione simbolica affidata ai cristalli spezzati contenuti nell’Ara centrale.
Vite spezzate, “divise forate” raccolte in un complesso monumentale espressione compiuta della sublimazione del “Dovere” di presenza, di ausilio e di tutela della collettività e dello Stato di Diritto. Luogo mistico del rispetto, della memoria e dell’appartenenza. Luogo della riflessione intima che traccia nell’anima del visitatore il solco di una tradizione di orgogliosa fedeltà alla Patria. Luogo dei giusti che richiama alla responsabilità ed alla continuità dell’impegno personale.
Note
- Emilio Gentile, nell’opera “Il Culto del Littorio. La sacralizzazione della Politica nell’Italia fascista ”-Laterza, 1993 p.7-19, evidenzia come dopo le guerre di indipendenza non mancarono i riti per celebrare i caduti in battaglia. Questi, però non si trasformarono mai in mito collettivo dell’esperienza bellica ed in culto nazionale del caduto. Infatti, secondo l’analisi storica del Gentile, il misticismo Mazziniano legato al mito della rivoluzione di popolo consacrata a resurrezione spirituale e morale degli italiani attraverso “il sacrificio rigeneratore dei martiri, non venne raccolto dalla borghesia del tempo. Così, gli ideali garibaldini di lotta per una patria comune “espressione della volontà generale di un popolo” e dei suoi caduti, ebbero solo celebrazioni occasionali senza assurgere a patrimonio dello Stato. Il mito dell’unità d’Italia venne espresso da una miriade di monumenti eretti alla figura dell’eroe individuale – Giuseppe Garibaldi ed in misura decisamente minore di Camillo Benso conte di Cavour- mentre il culto collettivo dei caduti venne gestito dalle associazioni di veterani, da comitati spontanei o da società private che fra il 1886 ed il 1906 eressero circa 40 ossari.
- Lorenzo Cadeddu, nell’opera “La leggenda del soldato sconosciuto all’Altar della Patria” – Gaspari-Udine, 2004 descrive analiticamente la nascita dell’idea , legata alla figura del colonnello dell’aviazione Giulio Douhet le prassi seguite ed i cimiteri di guerra dove sono state individuate le dodici salme fra le quali in Aquileia venne scelta dalla popolana Maria Bergamas la salma che sarebbe stata trasferita in Roma per la sepoltura all’Altare della Patria.
- Con Regio Decreto del 13.4.1919 venne istituita la “Commissione Nazionale per le Onoranze ai Militari d’Italia e dei Paesi alleati morti in guerra” presso il Ministero dell’Interno, Con Decreto Legge del 29.01.1920 il servizio veniva trasferito al Ministero della Guerra ove con Decreto del 10 Marzo 1920 veniva istituito l’Ufficio Centrale per la Cura e le Onoranze alle salme dei caduti di guerra (COSCG) con sede prima in Udine e dal 1927 in Padova. Quest’ultimo organismo provvide alla ricerca sugli scenari bellici delle salme dei caduti ed al loro concentramento nei vari cimiteri di guerra che venivano riordinati ed offerti al culto popolare attraverso una riorganizzata architettura celebrativa come Cimiteri Monumentali , Ossari e Sacrari.
- Nell’opera “Orazioni e proclami. A cura di un fante della Terza Armata.”– Bologna-Zanichelli 1926 nell’allocuzione di inaugurazione pronunziata da Emanuele Filiberto duca D’Aosta, il Cimitero degli Invitti venne definito “Campo della lotta, altare del martirio e tempio della Vittoria.”- Quivi verrà seppellito provvisoriamente Emanuele Filiberto dopo la sua morte avvenuta il 4 luglio 1931, e la sua salma verrà trasferita nel 1938, assieme a quelle dei caduti della Terza Armata da lui guidata, nel Sacrario di Redipuglia dove attualmente ancora riposa. Il Cimitero degli Invitti sul Colle Sant’Elia venne trasformato in Parco della Rimembranza.
- La definizione “architettura necessaria”, intesa come tributo artistico obbligatorio alla celebrazione del Martirio e della Vittoria, compare il 26.10.1923 nell’articolo del giornale “Il Popolo d’Italia” intitolato “ Nei dodici mesi dell’avvento: l’Arte” a firma di Margherita Sarfatti.
- L’avanguardia Futurista, sorta nel 1909 con il “Manifesto Futurista” di Marinetti, e la sua cultura del “modernismo nazionalista e panitalianista “ ha investito tutti i campi artistici e culturali del tempo. Fondatasull’Uomo Nuovo, concepito come artefice del progresso nel suo costante ed ineludibile divenire, contrario ad ogni forma di “passatismo”, ardito nell’azione e capace di affermare con la forza il proprio ideale di modernità anticlericale ed anticomunista,è stata in alcune componenti ideologiche e politiche recepita dal fascismo con il quale ha convissuto in stretta contiguità, fra contrasti e condivisioni operative, per tutto il ventennio. Come affermato da Renzo De Felice, nella complessa analisi dei rapporti Fascismo-Futurismo, l’Avanguardia Futurista si è sostanzialmente identificata nel “Fascismo-Movimento” carico di istanze innovatrici e rivoluzionarie tutta protesa alla creazione ed affermazione dell’Uomo Nuovo, in aperta contrapposizione al “Fascismo-Regime”.>
Il Futurismo, comunque, non esercitò alcuna influenza sotto il profilo architettonico riguardo all’edificazione dei vari Sacrari ai Caduti della Grande Guerra, mentre la ebbe sotto il profilo ideologico-culturale orientandone l’interpretazione etico-valoriale e favorendone il connubio con la simbologia e l’ideologia fascista .- Il Sacrario di Schio, il Tempio Ossario di Monte Grappa a Bassano, il Tempio Ossario di Udine, il Sacrario militare di Trento posto all’interno del Cimitero Monumentale, il Sacrario dello Stelvio e quello di Asiago, il Sacrario di Montello e quello militare di Pocol presso Cortina D’Ampezzo, ed ancora i Sacrari militari del Tonale, di Oslavia e di Fagarè.
- Nel novembre del 1928, nel suo programma di sistemazione dei cimiteri di guerra inviato a Mussolini, il Generale Fracovi aveva prospettato l’ipotesi di riunire nell’unico ossario del Cimitero degli Invitti sul Monte Sant’Elia, le salme di tutti soldati caduti nelle battaglie del Carso. Nella circostanza aveva raccolto il suggerimento del Duca di Aosta che proponeva la raccolta delle salme di tutti i caduti della Terza Armata nel cimitero di Redipuglia e dove aveva espresso l’esplicito desiderio di essere seppellito fra i suoi uomini. L’idea, approvata da Mussolini, dopo la morte di Vittorio Emanuele avvenuta il 4.7.1931 passa alla fase di realizzazione con l’inizio delle trattative per l’acquisizione dei terreni e con le prime progettazioni.
- La sommaria ricostruzione delle varie inumazioni con indicazione delle città ove sono avvenute, è tratta dal testo di E. Gentile Il Culto del Littorio –citata- ed è dovuta anche alle ricerche della Dr.ssa Roberta Suzzi Valli.
- Tutti i Sacrari Fascisti sono stati rimossi nel primo dopoguerra. Unico esempio che ci risulta, in una stanza chiusa al pubblico, è rimasto quello costruito nel 1933 ed ancor oggi quasi integralmente conservato nell’ex Palazzo Littorio di Varese, attualmente occupato dagli uffici della Questura.
- Sul “plebiscito” Renzo De Felice, nel III° Tomo della sua opera “Mussolini ed il Fascismo”, scrive testualmente “Il 24 marzo 1929 gli Italiani furono chiamati ad esprimere, come voleva la nuova legge sulla rappresentanza politica approvata l’anno prima, il loro voto pro o contro la lista dei quattrocento deputati designati dal Gran Consiglio del fascismo. La consultazione- che nel linguaggio politico fascista fu definita il Plebiscito- doveva servire ad “eleggere” la prima Camera del regime e soprattutto a sancire solennemente, attraverso appunto un voto il più possibile plebiscitario, il consenso, l’adesione del paese alla politica mussoliniana, al fascismo e al regime stesso.” I risultati elettorali videro una partecipazione di votanti pari all’89,63 %, percentuale altissima giustificata dal fatto che la mancata partecipazione al voto sarebbe stata facilmente individuata ed interpretata come una manifesta opposizione al regime, mentre il responso delle urne registrò 135.761 no ed 8.519.559 si dando corso al periodo definito dagli storici del “consenso”.
- Per un approfondimento su tutte le trattative e sulle questioni rimaste irrisolte nei Patti Lateranensi: – fra i tanti di rilievo Carlo Arturo Jemolo “Chiesa e Stato in Italia” edizione Einaudi 1975 e Renzo De Felice “Mussolini ed il Fascismo” III° Tomo Capitolo Quinto “La Conciliazione”.
- L’Opera Nazionale Balilla, si componeva di due formazioni giovanili “I Balilla” dagli otto ai quattordici anni e gli “Avanguardisti” dai quindici ai diciotto anni. Istituita nel 1926 come Ente Statale alle dipendenze del Capo del Governo, raccolse inizialmente le organizzazioni giovanili maschili del PNF e dell’Agf (avanguardie giovanili fasciste), per poi essere inserita nel Ministero della Pubblica Istruzione divenuto nel 1929 Ministero dell’Educazione Nazionale. Con l’istituzione dell’Ente giovanile, il Regime cercò di occupare gli spazi collegati all’educazione extra e parascolastica controllando il tempo libero dell’infanzia e della prima adolescenza che veniva indirizzata al culto dell’educazione fisica, dell’attività sportiva e dell’addestramento militare. Estesa nel 1929 anche al mondo femminile con le Piccole Italiane e le Giovani Italiane e con l’abbassamento dell’età alla fascia dei sei-otto anni con i Figli della Lupa, l’Opera Nazionale Balilla raccoglieva nel 1934 il considerevole numero di 4.300.000 giovani fra i sei ed i diciotto anni. Divise, gerarchie organizzative, la partecipazione a tutte le parate militari, l’obbligatorietà all’istruzione del sabato pomeriggio, la destinazione alla realizzazione dei programmi pedagogici di opere monumentali quali il Foro Mussolini in Roma, rappresentò sino alla fine degli anni trenta l’opera più incisiva di fascistizzazione dell’infanzia e dell’adolescenza della stragrande maggioranza dei giovani italiani.
- L’Azione Cattolica, fondata da Benedetto XV nel 1915 quale associazionismo laico e religioso della Chiesa, viene legittimamente riconosciuto all’art. 43 del Concordato a scapito dell’associazionismo scautistico che subì invece l’abolizione. Ebbe vita e svolse la sua missione spirituale di affermazione della dottrina cristiana nel corso di tutto il ventennio, ma non senza difficolta e conseguenze. Infatti l’azione di contestazione dell’associazionismo fascista e del regime, costrinse l’Azione Cattolica a ridurre negli anni trenta il suo raggio d’azione da organismo nazionale a struttura diocesana, in un processo di progressiva clericalizzazione che portò a ridurre le presenze laiche legate prevalentemente al mondo degli universitari cattolici. Comunque, l’insegnamento della dottrina cristiana, legata alla valorizzazione della persona umana ed all’etica religiosa della trascendenza della sua esistenza, costituì di fatto e per lunghi anni, l’unica controinformazione alla nuova etica assorbente dello stato fascista.
- Sul massiccio del Grappa, meta escursionistica già alla fine del 1800, venne costruito nel 1897 il rifugio “Capanna Bassano” dal Club Alpino Bassanese i cui soci erano di componente borghese e laica di matrice liberale e risorgimentale tant’è che all’inaugurazione venne affissa una targa marmorea con versi anticlericali dell’Avv.to Pasquale Antonibon. Nel 1900 la Chiesa vi eresse al fianco un sacello sormontato dalla statua della Madonna che venne inaugurato nel 1901 dal patriarca di Venezia cardinale Giuseppe Sarto alla presenza di una moltitudine di fedeli. Da quel momento, divenuto meta dell’escursionismo laico e dei pellegrinaggi religiosi, il luogo diviene motivo di dissidio fra laici e cattolici che attribuivano valori e significati diversi all’ascesa al Monte ed alla sosta in raccoglimento sulla sua vetta. Alla conclusione della Grande Guerra, i contrasti fra laici e cattolici si acuirono con la promozione di iniziative e progetti finalizzati alla sacralizzazione della vetta della montagna. I contrasti si protrarranno dal 1920 sino al 1932 anche all’interno delle commissioni nominate per la progettazione e la costruzione del Sacrario Monumentale. Solo nel 1933, a seguito di un intervento diretto del Capo del Governo e con la nomina del generale Cei a Commissario, viene definitivamente stabilito con le opere del Castiglioni e la progettazione del Greppi l’assetto monumentale che il 22 settembre 1935, alla presenza del Re d’Italia viene inaugurato.
- Fra il 18 ed il 26 Settembre del 1938, per commemorare il ventennale della vittoria nella Grande Guerra, Mussolini compie un viaggio propagandistico nel Triveneto con una fitta serie di tappe per visitare le opere realizzate dal regime e per inaugurarne di nuove. A Trieste, posa la prima pietra della nuova Casa del Fascio dove verrà ubicato il Sacrario dei Martiri Fascisti, e quindi in Piazza dell’Unità, innanzi a duecentomila presenti, annunzia l’emanazione delle leggi razziali antiebraiche declamando che “L’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del fascismo..”. Il giorno successivo inaugurerà il Sacrario di Redipuglia, per poi recarsi a Gorizia dove inaugura il Sacrario di Oslava e quello di Caporetto per poi raggiungere Udine ove a Cividale del Friuli inaugura la Casa del Fascio e proseguire nei teatri bellici del Veneto dove a Treviso inaugura il Sacrario ai Martiri Fascisti Trevigiani quindi, dopo un breve rientro in Roma, il 24 settembre è a Padova, Belluno, sosta a Vittorio Veneto e quindi in Vicenza ove visita il Tempio Ossario ed i sacrari di Schio e di Leiten per poi giungere in Asiago. Ultima tappa, il 26 settembre, Mussolini raggiunge Verona ove nel comizio finale fa la summa del “suo pellegrinaggio sui campi sacri delle nostre gloriose battaglie” pronunziando la frase premonitrice “E se domani questo popolo fosse chiamato ad altre prove non esiterebbe un minuto solo….Voi siete gli stessi, voi avete lo stesso spirito di allora, voi siete pronti ad ubbidire come allora, e soprattutto a combattere come allora.” Una nuova campagna bellica era ormai alle porte.
- Oltre ai Sacrari minori inaugurati nel 1938 a Oslava, Caporetto, Schio e Leiten, vengono ultimati ed inaugurati nello stesso periodo (1936-1939) Pian di Salisei, Timau, Colle Isarco, Pola e Zara, Passo Resia, San Candido e Bezzecca. Nel 1939 l’opera di fascistizzazione dei Caduti della Grande Guerra è compiuto.
- La Cappella Sacrario presente nella Questura di Varese è l’unico Sacrario fascista che si è salvato dall’opera di rimozione avvenuta dopo il 1945 e che si è protratta sino agli anni 50. Costruito nel 1933 all’interno del Palazzo Littorio quale “ Tempio Votivo ai martiri della Rivoluzione Fascista”, raccoglie i nomi di squadristi o attivisti del PNF varesino uccisi da avversari politici in agguati o sorpresi alla fine di comizi.- Sede del PNF e della XII Brigata Nera “Dante Gervasini” comandata da Leopoldo Giraldi, discusso personaggio che fu fucilato il 28.04.1945, non si conoscono le ragioni reali della sua conservazione nel tempo. Sino al 1944 fu Questore di Varese Antonio Solinas, che superata la Commissione per l’epurazione postbellica in quanto ritenuto compromesso nell’applicazione fedele delle leggi antiebraiche, andò pensione nel 1954 quale Questore di Genova.- Il nuovo Questore di Varese Comm. Giorgio Fiorita, nominato il 21.02.1946, quale persona decisamente non compromessa con il regime, non provvide ne ebbe ordini di provvedere alla rimozione del Sacrario.- Così, chiuso al pubblico e destinato all’oblio della memoria per ragioni politiche, si è conservato quasi integro sino ai giorni nostri.-
- In la “Marcia dei martiri” la traslazione nella cripta di Santa Croce dei caduti fascisti, monografia di Alessandra Staderini
- Edizione del Giornale di Trieste del 5.11.1950- Rif. Di Gaetano Dato-;
- Gaetano Dato, “Lineamenti storiografici, memorie pubbliche e miti all’origine del Sacrario di Redipuglia. La fondazione di un Tempio alla Nazione.” ACTA HISTRIE “ 22.03.2014 Università degli Studi di Trieste.
- La questione dalmata trovò una prima soluzione il 5.10. 1954 con il memorandum di Londra per essere definita il 10.11.1975 con la sottoscrizione del Trattato di Osimo.
- Alle Celebrazioni del 4 Novembre del 1974 si registra la prima partecipazione di una Rappresentanza della Associazione Nazionale delle Guardie di Pubblica Sicurezza con il medagliere dalla Polizia, da poco realizzato.
- Tratto da “La Nuova Scintilla” settimanale di informazione della diocesi di Chioggia “Speciale Grande Guerra” del 27.03.2016.
- “Never Against” è la scritta posta all’ingresso del campo di concentramento di Dachau alla base di un monumento che ricorda lo sterminio.
- La notizia è presente nell’introduzione storica al sito www.sacrariopolizia.it e ribadita nell’articolo sul Sacrario della Polizia pubblicato da Fiamme d’Oro nel Gennaio 2013 a firma di Giulio Quintavalli dell’Ufficio Storico della Polizia;
- Vedi Sito RomaSegreta.it – Via Garibaldi- nel quale vengono descritte le origini e le vicende storiche dei vari edifici e dei monumenti presenti lungo l’importante strada cittadina ove è ubicato anche il Monumento ai caduti per la causa Romana con la sepoltura di Goffredo Mameli.
- Ma per avere la certa ubicazione della Cappella, stante la presenza di due edifici con quattro ingressi su via Garibaldi (Ai civici 38,41, 43 e 45), sarebbe necessaria una ricerca per verificare le progettazioni e la distribuzione degli spazi presso l’Archivio di Stato.
- Le Guardie di Città prima dello scioglimento del Corpo nel 1919 avevano raggiunto la forza di 12.611 unità che facevano capo a circa 1900 funzionari civili.
- E’ con le Guardie di Città che trovano, dopo il 1908, le prime applicazioni delle tecniche investigative elaborate dal prof. Salvatore Ottolenghi nella Scuola Tecnica di Polizia per l’identificazione dei criminali autori di reato e per le persone socialmente pericolose, le indagini dattiloscopiche con l’applicazione del metodo Gasti dopo il 1905, le tecniche del sopralluogo e del ritratto parlato (1917), con la creazione e gestione del Casellario Centrale. E’ con loro e con i funzionari che il nuovo patrimonio di conoscenze della Polizia Scientifica entra a far parte della funzione di pubblica sicurezza e della lotta al crimine, con la formazione dei primi gabinetti di polizia scientifica nelle questure e con la creazione di posti di rilievo segnaletico e dattiloscopico dislocati in tutti gli uffici provinciali e circondariali di polizia, venendo recepito anche dalla giurisdizione nel codice penale del 1913 con l’introduzione nel processo della rilevanza probatoria dei rilievi tecnici. Ed ancora agenti e sottufficiali delle Guardie i Città, sotto la direzione di Giovanni Gasti, sono la parte investigativa ed operativa del nuovo Ufficio Centrale Investigativo, costituito nel periodo bellico ai fini di controspionaggio e sotto la direzione di Augusto Battioni dell’Ufficio Centrale Abigeato.
- La partecipazione e l’abnegazione con cui le Guardie di Città parteciparono al soccorso delle popolazioni colpite dai gravi terremoti di Messina ed Avezzano, venne riconosciuto con l’assegnazione al Corpo di due Medaglie D’oro di Benemerenza ed il sanzionamento di 79 medaglie individuali per il Terremoto di Messina (2 oro, 8 argento e 69 bronzo) e di nr. 96 medaglie individuali per il terremoto di Avezzano (Fonte Ministeriale ancora in attesa di verifica e riscontro).
- Nel 1919 gli Agenti delle Guardie di Città avevano ricevuto, per atti di valore compiuti nell’arresto di malfattori o nel contrasto alle sommosse, il riconoscimento di 316 Medaglie d’argento e di 648 Medaglie di bronzo al Valor Militare, mentre per azioni di coraggio in favore di cittadini e nei servizi di soccorso pubblico 186 Medaglie d’argento e 479 Medaglie di bronzo al Valor Civile (Riferite fonti Ministeriali da approfondire);
- Nello Stesso periodo sino al 1919 il tributo dei Caduti delle Guardie di Città Vittime del Dovere superano il numero di 200, in gran parte rimasti uccisi a seguito di conflitti a fuoco, a cui si aggiungono oltre 3000 feriti per cause di servizio;
- Il Manuale del Funzionario di Sicurezza Pubblica e di Polizia Giudiziaria, fondato e diretto da Carlo Astengo dal 1863 sino al 1912, costituisce la più importante fonte di notizie sull’evoluzione storica della pubblica sicurezza e sulla sua funzione sociale. Per un approccio determinante per comprenderne significato e portata storica si segnala “Antologia del Manuale del funzionario di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria” a cura di Nicola Labanca e Michele Di Giorgio, edito da UNICOPLI nel 2015. Nel Manuale dell’Astengo è stata presente sino alla cessazione delle sue pubblicazioni nel 1912 una rubrica sulle Vittime del Dovere della Pubblica sicurezza che riguarda in gran parte il Corpo delle Guardie di Città per il periodo 1890-1912 .-
- Articolo del periodico Fiamme d’Oro del Sett-Ott. 1999 , a firma Viscardo Castelli, intitolato “La Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza” dove viene indicato l’organico iniziale del Corpo ammontante a complessive 25.377 unità e costituito da un Comandante Generale, un Tenente Generale comandante in seconda, 9 Maggiori Generali, 10 Colonnelli, 20 Tenenti Colonnelli, 48 Maggiori, 100 Capitani, 155 Tenenti, 40 Sottotenenti, 500 Marescialli Maggiori, 500 Marescialli Capi, 500 Marescialli Ordinari, 1.800 Brigadieri, 1500 Vicebrigadieri, 4000 Appuntati, 15.000 Guardie e 1.200 Allievi. Nella Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza, quale corpo ad ordinamento militare inquadrato nelle Forze Armate dello Stato e deputato alla tutela dell’ordine pubblico, confluirono oltre 4.000 Guardie di Città, circa 9000 fra Carabinierie Guardie di Finanza congedati, e circa 12.000 militari dell’esercito ex combattenti e giovani reclute.
- “La Polizia a Cavallo, storia, ordinamenti ed uniformi” di Giorgio Cantelli e Luigi Menna, realizzato con la collaborazione dell’Ufficio Storico della Polizia, Ponchiroli Editori, pag. 17;
- Articolo dal Periodico Fiamme d’Oro mar-apr.1997 a firma FRAMA (Francesco Magistri) dal titolo “ LA GUIDO RENI. Un po’ di storia in un ricordo lontano”. Ove l’autore ricorda una visita fatta col padre nel Settembre del 1928 alla Regia Scuola Tecnica di Polizia di via Guido Reni ove si trovava lo zio Calogero Magistri, al tempo vicecommissario aggiunto con funzioni di sottotenente, che gli ricordava di aver frequentato in quegli ambienti la Scuola Allievi Ufficiali della Guardia Regia per la Pubblica Sicurezza.
- Luigi Menna nell’opera “ La Polizia Italiana” capitolo III dedicato alla Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza pubblicata ne “Il Calendario Storico della Polizia Italiana 2015” edito dal Comitato Befana del Poliziotto. Emilio Saracini,”I Crepuscoli della polizia: compendio storico della genesi e delle vicende dell’amministrazione di pubblica sicurezza”,considera l’istituzione della Guardia Regia un “rimedio eroico” che andava bene per i casi disperati in quanto “come corpo straordinario di forza armata era riuscitissimo, ma come corpo di polizia ordinaria era deficiente”.
- Il 26 giugno 1920 a seguito della rivolta dell’11° reggimento Bersaglieri sorretto da rivoltosi locali, si succedono una serie di scontri a fuoco con la Guardia Regia ed i Carabinieri che costringono i rivoltosi a ripiegare all’interno di una postazione strategica costituita dal Forte Scrima. La Guardia Regia dopo aver assaltato la postazione vince ogni resistenza dei rivoltosi riportando l’ordine. Nel corso degli scontri a fuoco la Polizia registra cinque caduti in combattimento. Il Tenente Umberto Rolli, il Vicebrigadiere Sante Fargioni, la Guardia Eugenio Masotto , tutti appartenenti alla Guardia Regia, il Vice Commissario Pier Antonio D’Aria e l’Agente Investigativo Luigi Cristallini (Fonte Luigi Menna Vedi Nota 38). Alla fine del 1920, per volontà degli appartenenti alla Pubblica Sicurezza di Ancona, venne apposta una lapide marmorea commemorativa dell’evento e dei caduti nella questura di Ancona (Fonte Giulio Quintavalli Vedi articolo citato in Nota nr.26).
- Lo scioglimento della Guardia Regia non venne accettato passivamente dal Corpo e registrò varie forme di ribellione a Parma, Pisa e Genova e veri e propri ammutinamenti a Torino e Napoli con morti a seguito di scontri a fuoco con reparti dell’Esercito e con battaglioni dei Reali Carabinieri .
- La Guardia Regia, quale nuovo corpo di polizia, venne avversata dagli alti vertici delle Forze Armate tanto che la cerimonia di consegna della Bandiera avvenuta il 4 giugno del 1922 ad opera del Re Vittorio Emanuele III presso la caserma Macao di Roma registrò l’assenza dei generali dell’Esercito Regio e dimolte rappresentanze degli altri Corpi.
- Sul ruolo svolto dalla Guardia Regia Vedi l’accurata ricostruzione di Luca Madrignani in “Dalla psicosi rivoluzionaria alla guerra civile: La Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza e gestione dell’ordine pubblico nella crisi dello Stato Liberale”, pubblicato UNICOPLI 2014, dove si evidenzia come il Corpo utilizzato inizialmente in funzione anti-bolscevica o antisovversiva, trovò poi impiego , sebbene con alcune contraddizioni, contro lo squadrismo fascista. Vedi anche Raffaele Camposano “Origini e cambiamenti della Polizia di Stato” monografia presente nell’opera “In Nome della Legge” a cura di Fabio Santilli realizzato dall’Ufficio Storico della Polizia di Stato e dal Centro Studi Gabriele Galantara ,anno 2009.
- La figura del Cappellano Militare, nata dalla necessità di assicurare la cura della fede religiosa dei militari nei loro spostamenti bellici, ha origini preunitarie. Nei Ducati di Parma e Piacenza dal 1816 il Reggimento di linea aveva un cappellano Tenente; nel 1839 nel Granducato di Toscana vi erano tre cappellani; nello Sato Pontificio da Pio IX fu istituito nel 1850 l’Ufficio di Cappellano Maggiore; nel Regno delle Due Sicilie era il Re a nominare sino al 1861 i cappellani; Nel 1865 le Forze Armate del Regno d’Italia registrava circa 189 cappellani . Con l’occupazione di Roma nel 1870 e le leggi anticlericali il numero dei cappellani fu progressivamente ridotto sino all’eliminazione del servizio religioso occorso nel 1878. La figura venne reintrodotta dal Gen. Cadorna con una circolare del 12.04.1915 a cui seguì l’arruolamento di diecimila “preti-soldati” di cui 2.700 destinati ai corpi combattenti. Il 1.6.1915 la Sacra Congregazione Concistoriale nomino il primo Vescovo Castrense nella persona di S.E.R. Angelo Bartolomasi. Nonostante il comportamento eroico di alcuni di essi e l’alto numero di vittime di religiosi registrato nel corso della Grande Guerra, il servizio espletato dai Cappellani Militari nel 1922 veniva soppresso. Tre anni dopo, l’Ordinariato Militare per l’Italia venne eretto il 6.3.1925 con Decreto della Sacra Congregazione Concistoriale ed approvato dallo Stato Italiano con Legge 417/1926, istituendosinuovamente un contingente di cappellani militari operanti in tempo di pace.(www.ordinariatomilitare.chiesacattolica.it ; Raffaele Pascali “La Parabola dell’Assistenza Spirituale alla Polizia di Stato” Giappichelli Editore- Torino 2012);
- Francesco Magistri, Maggiore Generale della P.S., deceduto il 13.11.2002, al di là degli incarichi militari espletati in carriera, è stato Redattore Capo della Rivista Polizia Moderna dal 1954 sino al 1975 ed una volta in pensione ha rivestito l’incarico di Vice-Direttore ed Art Director della rivista dell’ANPS Fiamme d’Oro dal 1977 sino al 2002. E’ stato insignito del “Premio alla Cultura dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri”.
- Il Corpo Agenti di Investigazione viene istituito con D.L. 14.08.1919 n.1442 assorbendo buona parte delle Guardie di Città che verranno definitivamente sciolte con l’Istituzione della Guardia Regia avvenuta con R.D. 2.10.1919 nr.1790. Con lo scioglimento della Guardia Regia e del Corpo Agenti di Investigazione avvenuto con R.D. 31.12.1922 n.1680, questi ultimi confluiscono integralmente nel Ruolo Specializzato dei Carabinieri, il quale a sua volta, con l’istituzione del Corpo Agenti di P.S. con R.D. 2.4.1925 nr.383, viene totalmente assorbito nel nuovo organismo. In questo ondivago riformismo istituzionale, la Polizia subisce certamente una battuta di arresto della sua continuità storica. Ma si tratta di uno strappo ben presto ricucito dai suoi uomini la cui funzione ed il cui impegno nella tutela della Pubblica Sicurezza è sempre rimasto saldamente legato al ruolo sociale rivestito.
- La Bandiera Nazionale viene concessa al Corpo degli Agenti di P.S. con R.D.26.09.1930 e consegnata dal Capo del Governo Mussolini e benedetta dall’ Ordinario Militare vescovo S.E.R. Mons. Angelo Bartolomasi il 18.10.1930 con una grande manifestazione tenutasi all’ippodromo di Villa Glori in Roma alla presenza del Direttore Generale della P.S. Arturo Bocchini, di tutti i questori d’Italia, dei massimi rappresentanti delle FF.AA., con uno schieramento di oltre 5000 uomini comandati dal Colonnello di P.S. Ferdinando Soleti che ricevuto materialmente il vessillo presterà il giuramento con la formula: “giuriamo che noi sapremo difendere questa bandiera fino all’ultima stilla del nostro sangue, al servizio del Re e della Patria”.
- Sul punto vedasi nell’Opera Monografica di Raffaele Camposano “Origini e Cambiamenti Della Polizia di Stato” posta a corredo dell’opera “In Nome Della Legge- Tracce satiriche della Polizia Italiana tra Otto e Novecento” a cura di Fabio Santilli (Realizzato dall’Ufficio Storico e dal Centro Studi Gabriele Galantara 2009), ove l’autore trattando nei punti salienti il processo di fascistizzazione della Polizia evidenzia come lo stesso sia partito dalle Prefetture , con le nomine politiche dei Prefetti, per proseguire con i Questori, e quindi con l’allontanamento dal servizio “per riprovevole condotta” dei poliziotti scomodi o ritenuti di non sicura fedeltà al fascismo con il D.L.28.6.1928 nr.1592. Inoltre con il R.D. 2380 del 12.12.10927 viene conferita ai Questori la qualifica di Autorità Provinciale di Pubblica Sicurezza e viene sciolto il Ruolo degli Ufficiali del Corpo Agenti di P.S. con il loro inquadramento nel Ruolo dei Funzionari di P.S.- “Ma pur essendo perfettamente integrata nel regime, la Polizia non arrivò mai ad identificare la ragion di Stato con la ragion del Partito unico” atteggiamento reso possibile dai convincimenti e dalla volontà del Capo della Polizia Arturo Bocchini che rivesti la carica dal 1925 sino al 1940 quando morì in attività di servizio.
- Dall’articolo sulla Stampa del 19.10.1938 nr. 248 alla prima pagina.
- Come rilevabile dai giornali del tempo (Messaggero, La Stampa, Il Popolo ….), la ritualità del cerimoniale della Festa della Polizia sino all’entrata in guerra, prevede: a) la convocazione in Roma di tutti i Questori del Regno e dei Funzionari della Direzione Generale che riuniti a Palazzo Venezia o nel palazzo della Prefettura vengono ricevuti in udienza privata dal Capo del Governo; b) incolonnati, essi raggiungono a piedi il Vittoriano dove le alte Autorità del Corpo depongono una corona di alloro al Milite Ignoto, quindi trasferimento, sempre a piedi, lungo via del Plebiscito fino al Palazzo Littorio ove attesi dal segretario del PNF depongono una seconda corona di alloro al Sacrario dei Martiri Fascisti; c) successivo trasferimento con torpedoni presso il Comando Generale della Milizia ove ricevuti dal Capo di Stato Maggiore della Milizia depongono una terza corona di alloro al Sacrario dei Caduti della Milizia.
- Fra il 13 ed il 18 luglio del 1941, in varie azioni militare o a seguito di imboscate, morivano ad Ocevic nel Montenegro Carlo Smiraglia ( MAVM nel 1961), Domenico Alloro (MBVM nel 1943) Espedito Principe (MBVM nel 1948); sulla rotabile Rijeka-Ocevic Umberto Bianconi (MAVM nel 1943), a Xan Mesanovinica Antonio Paoloemilio (MAVM nel 1943) e Gino Pianigiani (Croce di guerra nel 1943); a Budva- Martinovic Celestino Nardi (MBVM nel 1950) e Guerrino Zacchiroli (Croce di guerra nel 1951) ed altri non risultati decorati. La Bandiera del Corpo Agenti di P.S. venne insignita della Medaglia di Bronzo al Valor Militare nell’anno 1949, Ministro dell’Interno Mario Scelba.-
- Il Corpo delle Guardie di P.S. viene costituito con il Decreto Legge Luogotenenziale nr. 365 del 2.11.1944, assorbendo il Corpo Agenti di P.S. già inquadrato nelle Forze Armate con D.L. 31.7.1943 nr.687 (Governo Badoglio).
- Nel nuovo Corpo, confluiscono parte della disciolta MVSN e le specialità della Milizia Ferroviaria, Stradale, Postale e di Frontiera, elementi dell’Esercito e della disciolta Polizia Repubblicana, la Polizia Africa Italiana (confluita il 9.3.1945), partecipanti a formazioni partigiane legalmente riconosciute, al C.L.N. ed alla Polizia Ausiliaria che aveva operato in appoggio alle forze alleate di liberazione.
- Un articolo comparso su Polizia Moderna del Maggio 1949 descrive con dovizia di particolari lo stato della Scuola di Via Guido Reni e le condizioni in cui venne realizzato il 1° Corso Allievi Guardie del Maggio-Novembre 1946.
- Storia del Sacrario in www.sacrariopoliziadistato.it
Arezzo 9 Febbraio 2023
Presidente
Guido Chessa
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